giovedì 29 settembre 2016

Morte nella steppa di Ian Manook, un viaggio tra le pieghe della Mongolia

Morte nella steppa, scritto da Ian Manook ed edito da Fazieditore nella collana Darkside, è un thriller dal ritmo incessante e notevolmente ben strutturato.
Ambientato in Mongolia, Paese dall’indescrivibile bellezza e dalla natura incontaminata (consiglio vivamente di visitarla, possibilmente durante i nadam – ossia una festività tradizionale a base di sport e gare ), questo libro ci porta attraverso le pieghe di uno Stato in cui antichissima tradizione e squilibri sociali della modernità, ne costituiscono elementi essenziali, spesso in contrapposizione non dialettica.
La storia narrata si dipana tra Ulan Bator, il Terelj ed il deserto del Gobi, alcuni dei luoghi imperdibili offerti dal territorio mongolo.
Il protagonista è il Commissario Yeruldegger, personaggio particolare, che entra di diritto in quell’ampia categoria  di detective – troppo spesso solo letteraria , purtroppo – in cui passione per la giustizia (intesa non solo e non sempre come giudiziaria, ma prevalentemente nella primaria esigenza di giustizia sociale) e conflittualità esistenziale con il sistema (… gerarchico, burocratizzato, corrotto..) ne rappresentano i caratteri principali.
Questo libro è il primo volume di una trilogia (personalmente aspetto con ansia, equiparabile a quella provata in attesa degli scitti di  May e Larsson , i successivi due tomi) in cui il commissario mongolo si confronta con politici ed affaristi, con neonazisti locali e magnati stranieri.
Un’indagine di polizia che è anche un’analisi della società mongola che avviene attraverso gli occhi, la vita e gli affetti di Yeruldegger e di altri protagonisti del libro, sempre in equilibrio sul sottile ma tenace filo che unisce una yurta (o gher, la tipica e tradizionale abitazione mongola) agli appartamenti in cemento o agli ultimissimi palazzi in vetro e acciaio che iniziano a spuntare nella capitale mongola

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