lunedì 26 settembre 2016

Dall’Orinoco a Rio: Caracas e Puerto la Cruz

Arrivare a Caracas di notte, giungere nell’ albergo prenotato e scoprire di non aver un posto dove dormire non è piacevole. La cosa diviene ancora più complessa se in quei giorni si svolge nella capitale venezuelana il summit del Mercosur e diviene impossibile trovare una sistemazione. A quel punto, grazie ad un receptionist disponibilissimo trovi telefonicamente un alloggio un po’ distante dal centro (Mountain View), a cui giungi alle 4, con un taxi il cui conducente ti spiega il coprifuoco, le complessità della città e ti offre di cambiare i soldi o di venderti la gripa, che è un prodotto tipico ma non propriamente enogastronomico.
Quando rifiuti – più che altro perché ancora non sappiamo dove dormiremo ed un pochino le storie sul coprifuoco, i vari sbarramenti e la copiosa security  (armata fino ai denti) notata in tutti gli alberghi  in cui hai provato a bussare in precedenza, ti hanno fatto salire un po’ l’ansia e girare le palle – il taxista ti guarda stralunato.
Il taxi si allontana dal centro e sale verso la montagna, prendiamo la stanza abbastanza sorpresi e colpiti dall’elevato costo, ma decisamente troppo stanchi per fare valutazioni e conti. L’unica cosa che capiamo è che bisogna allontanarci da Caracas: non c’è un posto per dormire e, forse, in questa città i costi sono troppo elevati – la cosa sembra assurda e sono curioso di capirci qualcosa in più..
Gli autobus sono tutti pieni, e l’unica soluzione potrebbe essere un taxi: trattiamo per una corsa fino a Puerto La Cruz, per vedere un po’ il mare e perchè da lì vogliamo puntare sulla Grand Sabana. Sembrerebbe un salasso, maritirando al bancomat scopriamo che il cambio effettuato dal circuito banacario venezuelano è a 60 (e non a 12, ossia quanto era stato quello applicato all’ aeroporto).. respiriamo e cominciamo ad entrare in mood vacanza.
Puerto la Cruz è una città abbastanza grande, ma decisamente più vivibile di Caracas. Ha una splendida passeggiata sul mare, lungo Playa Paseo, e vari locali in cui sorseggiare un frullato o un cocktail. Emerge con  chiarezza lo stridore di uno Stato ideato e  costruito per pochi e per le vacanze di pochi, in cui oligarchia e capitale hanno costruito, tra gli anni ’60 e gli anni ‘90 hotel, alberghi e modellato una vita notturna in funzione ed a piacimento di una cerchia ristretta di persone.
Poi è arrivato Chavez. Con importanti politiche sociali, con fondamentali piani di “crescita complessiva”, ma anche con una fortissima conflittualità sociale – probabilmente frutto naturale e necessario di decenni di squilibri e di ingiustizie. Molte di quelle attività da “varietà televisivo” hanno chiuso, altre si sono rimodellate, altre ancora, con accordi con il nuovo corso, sono rimaste in piedi.
Ma il chavismo, la sua forza, la capacità di aggregazione, di motivare, di dare una “lettura sociale ed un progetto per il pueblo venezuelano” era troppo legato e sagomato sul suo leader. Il chavismo era Chavez. E dal 2013, anno della sua morte, il PSUV ed il Paese sono in crisi. Dai muri, dalle case, dalle scritte il richiamo al socialismo democratico, alla partecipazione popolare, hanno il viso, le frasi, le idee, quasi la voce di Chavez.
I baffi di Maduro,non hanno avuto né il carisma né la capacità di “creare unitarietà” , del leader, e questo si ascolta dalle persone, dai mugugni e dai silenzi dei baristi e dei taxisti. Nonostante i molti manifesti, scritte e striscioni inneggianti a Maduro, questi non è nel cuore delle persone. Anzi, più di qualcuno con cui abbiamo potuto parlare, ed in particolare ricordo un ristoratore, lo accusa di essere troppo tenero ed eccessivamente legato ai “vecchi poteri economici pre Chavez”
Puerto la Cruz, con qualche albergo e locali notturni chiusi, con un’economia e politiche sociali abbastanza frenate dalla mancanza di impulso del chavismo, rappresenta abbastanza bene un Paese che si è fermato a metà del guado, quasi abbia terminato le forze durante la traversata. L’opera di trasformazione e di applicazione del socialismo democratico ha perduto la sua inerzia.
Il Venezuela è anche tanto, tantissimo baseball. Il vero sport nazionale, ed uno dei pochi sport che non riesce proprio ad appassionarmi. Anche il calcio tira abbastanza, ma mai come il baseball, la squadra di Puerto La Cruz è “Caribes de Anzoátegui” – Anzonategui è anche il nome della provincia in cui si trova la città.
Da Puerto la Cruz si può prendere il boat per arrivare a la Isla Margarita, uno dei luoghi a maggiore presenza di Italiana e molto dedita al turismo. Ce ne teniamo lontani.
Nei nostri giri di studio e di piacere scopriamo che le moltissime attività commerciali presenti in Avenida 5 di Luglio, sono in prevalenza di originari arabi – in particolare libanesi, giunti in particolare dopo il 1982. Ed è qui che conosciamo Felix, omaccione simpatico che ci propone di cambiare 1 euro a 90 Bolivar, dopo un po’ di scetticismo decidiamo di seguirlo ed accettare: non c’è fregatura. Il nostro amico Felix entra con i nostri 200 euro nella casa del cambio (dove possono cambiare solo venezuelani) e ci riempie di Bolivar: la vacanza può continuare e diviene molto più light.
Andiamo di corsa a prenotare il bus che ci porterà attraverso la Grand Sabana fino a Ciudad Bolivar, e soprattutto ci concediamo una gran cena, un po’ meno attenti al portafogli.
Ho ragionato molto su questo sistema e questa “quasi legalità” del cambio in nero, e l’unica spiegazione è che sia così immaginato per rendere costosi i prodotti di esportazione (leggasi petrolio), ma allo stesso tempo il cambio “informale” molto molto basso del bolivar , permette e favorisce i turisti e quindi i consumi. Potrebbe essere un’ipotesi.. L’unica certezza è che se vi dirigete in Venezuela portatevi tanti contanti e cambiate, con le giuste accortezze, e prendendo le adeguate precauzioni, on the road.

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