venerdì 30 settembre 2016

Sudafrica: wineland tra gusto e suggestioni

… il viaggio lungo la N1 continua piacevole, il traffico è praticamente assente, solo poche macchina e qualche autotreno in più. E’ un altopiano continuo e si viaggia sempre tra i 1000 e 1500 metri,  nonostante ciò sono molte le catene e le vette che fanno da fondo.


Vedo i primi springbok, la gazzella sudafricana, che è mascotte e  dà il nome della nazionale di rugby. Nazionale che ha vinto 2 coppe del mondo, nel 2007 e, soprattutto, nel 1995. Nella finale del 24 giugno del 1995 il Sud Africa riesce a battere la corazzata neozelandese e diviene il simbolo di una nazione che vuole rinascere dopo aver superato il buio periodo dell’apartheid. E’ il giorno in cui tutti supportano gli springbok, seppur da sempre il rugby è lo sport degli afrikaner; Nelson Mandela, Presidente da un anno entra in campo con la maglia e cappello della nazionale, e tutto ciò è raccontato nel film Invictus, che ho visto non troppo tempo prima di questo viaggio. Le immagini del film si confondono con la storia, e la pellicola è sempre un bel modo per narrare belle storie.
Penso a questo mentre la nostra piccola vettura prosegue , e penso anche che nonostante tutto, secondo me, il rugby, in questo Paese, continua ad essere lo sport dei bianchi ed il calcio dei neri.
Almeno questo mi raccontano i campetti delle periferie che abbiamo attraversato; facciamo benzina a Blomfontein (460 rand, circa 34 euro, la macchina non consuma molto e la benzina costa poco). Do un’occhiata a qualche rivista di sport, il Paese si prepara ai mondiali di rugby in Inghilterra e, vedendo gli articoli, le immagini ed i giocatori, penso che il mio giudizio sulla permanenza della divisione tra calcio e rugby non sia proprio campata in aria.
Blomfontein è nella regione del Sud Africa chiamata Stato Libero, che si riferisce all’ex stato razzista Stato Libero dell’Orange, fondato nel 1854 ed in cui i neri non potevano avere né terra né diritti; dal 1914 divenne uno dei bastioni dell’apartheid e nel 1970 fu uno dei bantustan,ossia degli stati artificiali voluti dai bianchi ed in cui furono trasportati e costretti tutti i neri (divenivano cittadini di un bantustan in base all’etnia di provenienza, anche se non avevano mai messo piede in quel territorio). L’assurdità dell’uomo non ha fine. Ma il seme della ribellione è stato più forte e dal cortocircuito, grazie all’opposizione ed alla resistenza di uomini e donne il Sud Africa ha raggiunto la dignità. L’ANC nasce proprio a Blomfontein.
Continuiamo a viaggiare, il sole scende veloce alla nostra destra colorando le rocce e facendo sfumare i contorni. Superiamo la città di Beaufort West (dove rifacciamo benzina).
Diviene buio e il cielo sopra di noi è un tappeto di stelle. La strada non è minimamente illuminata ed i pochi autotreni, che si superano tra loro anche in curva, non hanno troppo rispetto di una piccola vettura come la nostra. Gli ultimi 150 chilometri si sentono, arriviamo Franschhoek  dopo quasi 1200 chilometri.
Il nostro bed and breakfast è il Sunny Place (30 Akademie Street Franschhoek, 7690), una struttura molto carina, anche se dannatamente fredda. Consiglio vivamente a chi viaggia in questo periodo (nostra estate/loro inverno) nella zona interna del Sud Africa di dotarsi di una stufetta elettrica, noi lo abbiamo fatto. E’ stato molto utile. La nostra abitazione (con cucinino) era curata nei dettagli, comoda e con una porta finestra che conduce in un bellissimo patio interno.
In questa zona vi sono gli insediamenti europei più antichi del Paese Franschhoek, Stellebonsch, Paarl. E’ la zona delle wineland, in cui è possibile spostarsi da una azienda ad un’altra e degustare vino.
In realtà il vino è prodotto in moltissime altre zone del Sud Africa, penso all’Overberg ad esempio, e si contano oltre 20 strade del vino;  ma solo le aziende produttrici più antiche (rientranti in un raggio di 60 km da Cape Town) insistono sull’areale delle winelands.
Il vino sudafricano è eccezionale, così come quello argentino, resto scettico su quello californiano, almeno per quello che ho potuto assaggiare. Parlo ovviamente di standard qualitativo medio, senza tirare in ballo “super bottiglie” , che mediamente non rientrano nel budget-viaggio. Ritengo però la qualità media l’indice maggiormente interessante per valutare il livello produttivo vitivinicolo.
Anche fuori dall’Europa l’asticella si sta alzando notevolmente. Detto ciò l’enorme risorsa dell’Italia risiede nella ricchezza di biodiversità e nei notevoli e differenti micro-clima che ci dotano di una capacità produttiva e qualitativa unica.
Stellebonsh è probabilmente la cittadina più conosciuta, e presenta aziende notevoli, come ad esempio Uva Mira o Le Bounher. Le aziende sono circa 75, ed un buon consiglio è mettere in agenda la visita di domenica in cui ci sono le Sundays in Stellenbosch, con apertura di aziende ed offerte particolari. Per tutte le info www.wineroute.co.za
Franschhoek è un vero gioiello, posizionata su una stretta valle è definita la capitale culinaria del Sud Africa. Si respira fortemente l’eredità francese, derivante da 277 ugonotti che in fuga dalle persecuzioni nel loro paese ricevettero in concessione dalla Compagnia Olandese delle Indie. Questo territorio, conosciuto come “Angolo dell’elefante” (per i numerosissimi elefanti che erano – purtroppo erano – presenti), divenne Fanschhoek, l’angolo francese. Sono molte le cose che si possono fare in questo splendido paesino curato in ogni dettaglio oltre, ovviamente, degustare un ottimo vino (La Bri e La Petite Ferme). Indubbiamente si può mangiare: come dicevo è la capitale del gourmet, ed uno degli indirizzi  migliori è Holden Man (occhio ai prezzi, sia qui che ovunque)a cui accompagnare la cioccolata dell’ Huguenot Fine Chocolates.
Poi si può passeggiare a piedi o cavallo per diverse ore incrociando vigneti (curatissimi, con cordone speronato) e scorci mozzafiato. Oppure prendere il bellissimo wine tram(www.winetram.co.za) , che mostra come un vettore possa coniugare turismo e tessuto produttivo, divenendo elemento in  grado di essere sintesi e volano di un percorso.  Penso ad alcuni tratte poco utilizzate nella mia Regione (Lazio), soprattutto il fine settimana e quanto sarebbe funzionale creare appuntamenti in grado di invogliare ed informare i turisti: penso ad esempio alla possibilità di coniugare flussi da Roma – anche attraverso l’utilizzo della bici sul treno – ed utilizzare il prodotto eno-gastonomico per far conoscere, degustare ed apprezzare i prodotti. Il viaggio stesso diverrebbe parte centrale della “gita”, diverrebbe esso stesso un evento.
In questo angolo etilico e di relax potrei rimanere per mesi ad disegnare progettualità, magari continuando a leggere Deon Meyer autore sudafricano di gialli. Il romanzo dal titolo Cobra è ambientato anche qui nell’angolo francese; non è il suo miglior romanzo, ma con il passare dei chilometri ne scopriremo altri.
Ma il richiamo di Cape Town,  il cui eco mi giunge attraverso le linee della Table Mountain,  viste in foto ed in video; ed è qui vicino, a soli 60 km…

Colle Arcone, un olio da favola

Se vi aggirate nella provincia cuore verde d’Italia ovvero quella reatina, vi consigliamo di fare un salto e degustare un olio davvero unico, l’olio Sabina DOP dell’azienda agricola Colle Arcone di Enrico Scipioni.
L’azienda Colle Arcone come si può intuire dal logo, si caratterizza per l’allevamento del cavallo da tiro rapido pesante italiano; allevamento dalla grande qualità anche grazie alla forte passione di Scipioni stesso.
Quando la passione diventa certificazione di qualità .
Az. Agr. Colle Arcone di Enrico Scipioni. Via Colonnetta, 2 02034 Montopoli di Sabina (RI). ph. +39 0765 279017 – +39 339 7561210 fax
Un rimando anche al sito ufficiale del Consorzio sabinadop per chi volesse maggiori informazioni

Un grande scrittore, Santiago Gamboa. Un bel libro, “una casa a Bogotà”.

In questo libro l’autore attraverso la descrizione di una casa racconta ed incrocia ed esistenza del protagonista con la storia e le storie di Bogotà.
Un libro in cui ciascun capitolo è una persiana da aprire per scoprire il mondo, partendo dalle strade della capitale colombiana. E’ un’analisi a tutto tondo che mediante concise ed appassionate digressioni del protagonista, dell’anziana zia – ex funzionaria ONU – ed in forma minore, ma sempre pungente e profonda, di altri personaggi, fornisce interessanti chiavi di lettura su argomenti riguardanti società, economia e politica su scala mondiale, con particolare riferimento al Paese andino.
Il filologo, questo è il lavoro del protagonista, orfano dall’età di 6 anni, narra la sua vita, le sue storie, la sua personale tragedia e da qui, ripercorrendo singoli eventi, promuove una serie di puntuali argomentazioni.
Un libro che attraverso le stanze della casa presenta una serie di “accadimenti” che segnano la vita del protagonista e ci stimolano a pensare, a guardare nelle pieghe, anche attraverso “letture ed interpretazioni che non sono più di moda”.
Nelle pagine del libro si possono trovare moltissimi spunti di riflessione;  lo stile veloce molto spesso deve rincorrere il pensiero che fugge chilometri o anni lontano seguendo le molteplici suggestioni proposte.
In sintesi è un libro che fa pensare, molto; ed indaga diversi  campi e temi mediante interpretazioni sociali e/o psicologiche.
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giovedì 29 settembre 2016

Obiettivo Mosca… e ritorno

Attraversare la Russia europea in macchina. Un viaggio attraverso l’Est Europeo, cercando di disegnare traiettorie che parlano di storia, natura, cultura..
Vedere Paesi diversi, conoscerne le culture, cercare similitudini e differenze in quello che fino a meno di 30 anni fa era il “blocco sovietico”, sino a giungere al Cremlino e nella Piazza Rossa.  E ritorno.
Questo è l’obiettivo, ma la preparazione e l’iter burocratici sono abbastanza articolati: capiamo subito che entrare in Russia in auto, tra assicurazione, visto ed altre pastoie, non è proprio easy. Dopo qualche fila, riusciamo, comunque, ad ottenere tutto il necessario. Un consiglio: chiedete info per l’assicurazione, e non sottoscrivetela prima di avere certezza sul tipo(ergo acquistate quella che vi consiglia – impone – l’ufficio consolare).
Si parte con una Polo di oltre 10 anni e già parecchi km nelle ruote (Turchia, Amsterdam, Portogallo…). E’ sera, il tempo di caricare la macchina e già l’autostrada corre via veloce… Italia, Austria, Slovacchia, sino al confine con la Polonia. Ricordatevi di comprare la”vignetta” (ossia un tagliandino adesivo da apporre sulla vettura) sia in Austria che in nella Slovacchia.
Superiamo Bratislava, proseguiamo per Zvolen, e continuiamo verso nord, incontriamo il Parco Nazionale del Bassi Tatra e, poi, il fantastico, Tatra National Park. Luoghi stupendi, incontaminati, viene la voglia di sostare qui: perfetto per il trekking e per il relax, con aspre vette, laghetti di montagna e le infinite varietà del verde offerte dai prati, bosco, conifere, sottobosco.
Ma abbiamo deciso di fare la prima sosta in territorio polacco, e così giungiamo a Zakopane, famosa stazione sciistica. Ebbene, abbiamo toppato. Non la consiglio assolutamente (forse per sciare in inverno, non so). Troppo, troppo turistica. Un “grumo” di caos che stride con la cornice di bucolica bellezza del paesaggio.
Decidiamo di proseguire oltre, circa 150 km per giungere a Cracovia.
Città fantastica, alla cui fervente vita culturale si associano una quantità infinita di ristoranti e pub dove bere una buonissima birra (e detto da me, che proprio non la amo..)
Il centro storico è un vero gioiello, in particolar modo la Piazza del  Mercato, con il Sukiennice (il mercato dei tessuti) e la Torre del Municipio. E tra i numerosi “night spilla turisti” (con prevalenza italiani,che gongolano proprio nell’essere presi all’amo…mah… non bisogna mica fare tutti ‘sti chilometri)  e le eleganti pasticcerie-bistrot si  può passeggiare in un’elegante miscellanae tra rinascimentale e barocco.
Anche la collina di Wawel con il Castello e la Cattedrale merita un bella visita, detto ciò la
cosa che più mi ha entusiasmato è il clima di sperimentazione in campo culturale che si respira. Clima che affonda le radici in una delle Università più antiche d’Europa, fondata nel 1364.
L’Università Jagellonica di Cracovia, in cui studiò anche Copernico, è il vero propulsore della città ed è una struttura stupenda, con un “chiostro” con intarsi in legno e portici con colonne ad arco acuto.
Cracovia è la capitale polacca della cultura, sia per la presenza di questa istituzione del sapere, sia per una molteplicità di attività che costellano il panorama artistico-produttivo: dalla musica, al design, alla moda.
E’ anche la città del bellissimo quartiere di Kazimierz, quartiere ebraico nella sua parte orientale. E’ il luogo di una delle tristi pagine del secolo scorso, con la deportazione del marzo ’43. E’ qui che è ambientato il film di Spielberg “Schindler’s list” e passeggiando si può vedere la “fabbrica della memoria”, oggi Museo,  ossia l’industria di pentole di proprietà di Oskar Schindler mediante cui riuscirono a salvarsi circa 1200 ebrei dalle atrocità del nazismo.
Nel quartiere ebraico vi consiglio di passeggiare per ulica Szeroka e giungere alla Sinagoga vecchia. Come da vedere è la Sinagog nuova (all’estremità nord di Szeroka)
Dopo qualche giorno in questa splendida città, accompagnati da una degna quantità di birra – che sarà una costante del nostro East Europe Trip – ci rimettiamo in viaggio.
Ma facciamo una sosta necessaria. Dura, dal fortissimo impatto emotivo, ma necessaria.
Il campo di sterminio di Auschwitz, per non dimenticare. Mai. Quanto può essere crudele ed infimo l’uomo. E quanto è  violento il negazionismo, violenza perpetuata da idioti che ancora oggi indossano maglie o bandiere con la croce uncinata. Troppi in Polonia, tanti, troppi anche in Italia
Non ci sono parole, non possono essercene. Entrare in quello spazio, ascoltare, leggere, guardare. I pensieri si fermano ed il silenzio si riempie delle urla del passato. Che non deve mai passare.
Finiamo la visita, ci sediamo prima di uscire, c’è un bel sole, il vento soffia e muove qualche filo d’erba.
Entriamo in macchina, senza voglia di parlare. Chiusi, un po’ sballottolati, così partiamo con il portabagagli aperto, e percorrere qualche centinaio di metri prima che qualcuno ci avvisi. Facciamo sorridere chi è sul ciglio della strada, sorridiamo anche noi. Prima di tornare in silenzio, ci vorranno parecchi chilometri prima di riprendere il flusso normale di parole e pensieri. I chilometri scorrono in direzione nord…

Morte nella steppa di Ian Manook, un viaggio tra le pieghe della Mongolia

Morte nella steppa, scritto da Ian Manook ed edito da Fazieditore nella collana Darkside, è un thriller dal ritmo incessante e notevolmente ben strutturato.
Ambientato in Mongolia, Paese dall’indescrivibile bellezza e dalla natura incontaminata (consiglio vivamente di visitarla, possibilmente durante i nadam – ossia una festività tradizionale a base di sport e gare ), questo libro ci porta attraverso le pieghe di uno Stato in cui antichissima tradizione e squilibri sociali della modernità, ne costituiscono elementi essenziali, spesso in contrapposizione non dialettica.
La storia narrata si dipana tra Ulan Bator, il Terelj ed il deserto del Gobi, alcuni dei luoghi imperdibili offerti dal territorio mongolo.
Il protagonista è il Commissario Yeruldegger, personaggio particolare, che entra di diritto in quell’ampia categoria  di detective – troppo spesso solo letteraria , purtroppo – in cui passione per la giustizia (intesa non solo e non sempre come giudiziaria, ma prevalentemente nella primaria esigenza di giustizia sociale) e conflittualità esistenziale con il sistema (… gerarchico, burocratizzato, corrotto..) ne rappresentano i caratteri principali.
Questo libro è il primo volume di una trilogia (personalmente aspetto con ansia, equiparabile a quella provata in attesa degli scitti di  May e Larsson , i successivi due tomi) in cui il commissario mongolo si confronta con politici ed affaristi, con neonazisti locali e magnati stranieri.
Un’indagine di polizia che è anche un’analisi della società mongola che avviene attraverso gli occhi, la vita e gli affetti di Yeruldegger e di altri protagonisti del libro, sempre in equilibrio sul sottile ma tenace filo che unisce una yurta (o gher, la tipica e tradizionale abitazione mongola) agli appartamenti in cemento o agli ultimissimi palazzi in vetro e acciaio che iniziano a spuntare nella capitale mongola

Teresa Batista stanca di guerra e l’unicità del Brasile

Il Brasile del sudore, del cacao, delle fazendas e  delle ingiustizie. Il Brasile che era fino a poco tempo fa, ed in alcune pieghe sopravvive ancora oggi. Ed è sempre il Brasile dei colori, dei sorrisi, della storia che diviene unica e che proviene da altre storie.
La cornice in cui si sviluppa Teresa Batista stanca di guerra, capolavoro del Maestro Jorge Amado, è il Brasile del nord, tra Aracajù e Salvador di Bahia, nel secondo e terzo decennio del novecento.
Attraverso la vita di Teresa l’autore dipinge un affresco unico del sertao, a cavallo tra gli Stati del Sergipe e di Bahia: storia di amore e conflitto sociale, costante, perpetua chiave di lettura di una società che per anni ha poggiato su uno squilibrio biopolitico la propria esistenza. E che ancora oggi presenta tracce evidenti di tale sbilanciamento.
L’odore acre dei postribili ed il “dolce” sapore del sale si fondono in un libro che parla di popolo, di samba di sofferenza, e di gioia, quella vera, quella quotidiana guadagnata giorno per giorno attraverso un abbraccio, la passione, un bicchiere in compagnia.
Teresa è una delle molte eroine presente nei libri di Amado, e rappresenta in modo paradigmatico un paese come il Brasile (in particolare la zona narrata nell’opera): ambivalente, pieno di contrasti e contraddizioni, ma bello, unico, acquerello di pieghe e sfumature. Dalle spiagge, alle strade di sabbia rossa – trilha mixta – che dal mare ti portano al’interno; del meticciato come ricchezza e dello squilibrio di razze come dato oggettivo della condizione sociale. Paese di oligopoli e miseria; del calcio e del carnevale, di ricerca e studio, di letteratura.  Di gioie e sofferenza. Di follie politiche e di poteri che logorano se stessi, di polizia e di aristocrazia. Ma in cui il popolo esiste, e si sente, si vede, non è mai un numero, perche vive.
E così Teresa, pur umiliata, violentata, sottoposta a soprusi, non si arrende, anzi è forte e coraggiosa. Altruista e pronta ad aiutare gli altri, ispira e costruisce la rivoluzione. Dalle case di appuntamento, alle piazze, dai porti alle campagne del sertao questo libro ti fa appassionare alle vicende di questa donna che potrebbe rappresentare il Brasile stesso.
Un libro da leggere e di cui innamorarsi, un paese da scoprire, ogni volta come se fosse la prima.

mercoledì 28 settembre 2016

Gli USA on the road

Gli USA on the road, attraversare un paese che ho immaginato, sognato, visto, letto un numero innumerevole di volte.
Pellicole, note, schiacciate di MJ, Naomi Campbell , il giovane Holden e Dawson sono stati alcuni dei colori con cui  il soft-power americano ha inondato  la tela della mia adolescenza e dei miei 20 anni. Con aggressività a tinte forte, come Pollock.


Con continuità, con distacco, con passione, con curiosità l’american way ha avvolto le mie fantasie, i miei miti, ed i paesaggi statunitensi sono stati teatro di infiniti ipotetici viaggi.
Le linee della Monument Valley con il cappello di Tex, la California di Steinback,  la ribellione on the road di Alex Supertrump (al secolo Cristoper McCandless, nel superbo film diretto da Sean Penn) e l’inseguimento tra Sharon Stone e Michael Douglas sulla highway 1 sono alcuni dei  fili di lana che si annodano nel gomitolo del progetto per il viaggio “on the road” per eccellenza.
Scegliere l’itinerario è uno dei tanti aspetti che rende un viaggio unico. Studiare, capire, ricordare immagini, frasi  o leggende, incrociare il piano delle memoria visiva  con le tabelle dei chilometriche, con i il desiderio di ammirare e costruire quel percorso ideale che “rappresenta la nostra essenza discrezionale di un assaggio di mondo” è una delle tessere che rende il viaggio unico. Tuo.
E’ l’incipit, la creta con cui possiamo modellare la brocca per la nostra sete di conoscenza.
New York, Memphis, New Orleans…le città scorrono sulla carta geografica e divengono appunti sul taccuino.
Dagli appunti sul quaderno alle indicazioni ed ai cartelloni nell’aeroporto JFK di New York. Ed il primo taxi giallo è guidato da un simpatico vecchiotto di origine jamaicana rappresenta un bell’assaggio del dinamico melting pot che rappresenta uno degli architrave di questa società, per quanto ne possa parlare quel losco figuro di Trump (facendo i dovuti e meritati scongiuri)
New York è fantastica; raccontarla è difficile, impossibile. Posso dire che attraversandola ho avuto la sensazione di “riconoscerla”,  di scorgere angoli già visti, anche se era la prima volta che la vedevo. Il potere della televisione e della rete.
Un graffito, una tag, lo skyline, Central Park, una fermata della metro, palazzi in brick rossi sono alcune delle immagini che affiorano nella mia mente.
L’hotel è il Queensboro , nel quartiere del Queen, per l’appunto 3805 -Hunters Point Avenue
Long Island City (New York), NY 11101- sufficientemente economico ed allo stesso tempo pulito e sufficientemente ospitale. E’ a qualche centinaia di metri dalla metro 7 (fermata Rawson Station); così da conoscere qualche spicchio di New York anche oltre Manhattan. Vicino ha parecchi negozi e fast –food (sono stati una lunga costante del viaggio, noiosi ma estremamente comodi…on the road anche essi).
New York è un infinito numero di strade, di potenziali traiettorie per narrarla, di possibili registri da usare. E’ un’ondata di sensazioni e di stimoli che passano dal ricordo, all’immaginazione, allo stupore. Una marea di particolari che ti avvolge mentre cammini emergendo da libri, film e canzoni.
Provo a focalizzarne alcuni, a sintetizzare in alcuni scatti e qualche parola dei ricordi e degli utili consigli.
La metropolitana con le sue fermate è di per sé un viaggio nel viaggio: cambiare linea, scendere, risalire, ammirare la stazioni, i pezzi colorati, fa emergere in chiaro-scuro molti degli aspetti più peculiari di New York. Dalla sovrapposizioni di stili al flusso di gente, dalle pubblicità alla fantastica abitudine di leggere in metro, dal ferro, al cemento al vetro. Permette inoltre di attraversare la città e di giungere direttamente in tutti i luoghi principali: la toponomastica delle fermate è un indice guidato di New York (Penn Station, Union Square, Canal Station, Times Square… fino ad attraversare tutta Brooklyn e giungere a Coney Island).
La metro è il modo per essere nel flusso, per scorrere e correre nella città; se volete, invece,  ammirare la città da lontano, soffermandosi sull’inconfondibile skyline bisogna arrivare all’estremità sud di Manhattan, e da qui prendere il South Ferry che parte ogni 30 minuti dalle 6:30 in poi. A proposito vi consiglio di acquistare il New York Pass (spendendo qualcosina in più avrete più possibilità e più libertà rispetto al CityPass), utile per l’imbarco.
E poi i musei che da soli giustificano un viaggio nella Nuova Amsterdam (è già, questo era il nome originale di New York, “fondata” nel 1626): il MET, il MOMA, il Guggheneim.
Su tutti il 5th Floor del MOMA: ricordo come ora di aver incassato pugni di bellezza attraversando le stanze di questo piano del Museo. Matisse, Monet, Van Gogh, Gaugin… incassavo stordito il susseguirsi di opere d’arte. Artisti su artisti, quadri su quadri. Colore su colore.  E poi le Damigelle di Avignone e la Chitarra di Picasso hanno fatto davvero male. Estasi e rincoglionimento, più o meno era questa la sensazione. Un chilum troppo forte con un’erba troppo buona.
Little Italy, sempre più piccolo, e il quartiere cinese, sempre più grande, con le infinite scale esterne e vicoli che sono cornice di milioni di film con inseguimenti e fughe.
Ma anche SOHO (South  of Houston street) con le sue boutique ed i suoi atelier o East Village, in cui poco rimane della culla della controcultura degli anni ’80.
Central Park è il vero cuore verde e pivot di Manhattan (per ammirarlo in tutto il suo splendore passeggiateci in largo e lungo ed ammiratelo dalla terrazza del Rockfeller Center). E questo Parco con altre aree verdi e di forte socialità  (Union Square su tutte), o con le bellissime passeggiate sia lungo l’Hudson che East River rendono questa parte della città uno dei posti più belli dove vivere. Non l’avrei mai detto prima di visitarla.
Ma il fascino della città è anche Harlem e la vicina (solo fisicamente) Columbus University, o DUMBO e Brooklin, il cui ponte merita una menzione a sé. Sarà la mia passione per i ponti, ma percorrerlo a piedi è stato davvero suggestivo.
Il Madison Square, Wall Street, la seconda Avenue ed il Palazzo dell’ONU, la Cattedrale di san Patrizio sulla 5th, scorrono come cartoline e rimangono impressi nella mente. Tra le varie istantane ve ne consiglio una nel Queens vicino alla metro 21st Van Alst è il MOMA PS1 (22-25 Jackson Ave, Long Island City, NY 11101), e gli edifici vicini che “scoppiano di pezzi e di colori”. Street art, urban art.
Giorni intensi a gironzolare a scoprire, ad intrecciare trame di film e racconti, a studiare angolazioni pensando ad inquadrature. Come sound un po’ di vecchio buon rap, qualche libro, magari Paul Austen con Trilogia di New York o, meglio ancora, Il Potere del Cane di Don Wislow. Tutto inizia da New York.
Anche questo viaggio. Affittiamo una macchina, non una Cadillac o una Chevrolet, sinceramente, potendo, avremo preso una Porsche, magari chiamata Little Bastard. Ma la cassa impone una Cruz Bianca… Affittata per 40 giorni. La prendiamo all’aeroporto, la lasceremo qui quando avremo l’aereo di ritorrno.
Salto al volante.. Destinazione sud.. Inizia l’on the road..

lunedì 26 settembre 2016

Dall’Orinoco a Rio: Caracas e Puerto la Cruz

Arrivare a Caracas di notte, giungere nell’ albergo prenotato e scoprire di non aver un posto dove dormire non è piacevole. La cosa diviene ancora più complessa se in quei giorni si svolge nella capitale venezuelana il summit del Mercosur e diviene impossibile trovare una sistemazione. A quel punto, grazie ad un receptionist disponibilissimo trovi telefonicamente un alloggio un po’ distante dal centro (Mountain View), a cui giungi alle 4, con un taxi il cui conducente ti spiega il coprifuoco, le complessità della città e ti offre di cambiare i soldi o di venderti la gripa, che è un prodotto tipico ma non propriamente enogastronomico.
Quando rifiuti – più che altro perché ancora non sappiamo dove dormiremo ed un pochino le storie sul coprifuoco, i vari sbarramenti e la copiosa security  (armata fino ai denti) notata in tutti gli alberghi  in cui hai provato a bussare in precedenza, ti hanno fatto salire un po’ l’ansia e girare le palle – il taxista ti guarda stralunato.
Il taxi si allontana dal centro e sale verso la montagna, prendiamo la stanza abbastanza sorpresi e colpiti dall’elevato costo, ma decisamente troppo stanchi per fare valutazioni e conti. L’unica cosa che capiamo è che bisogna allontanarci da Caracas: non c’è un posto per dormire e, forse, in questa città i costi sono troppo elevati – la cosa sembra assurda e sono curioso di capirci qualcosa in più..
Gli autobus sono tutti pieni, e l’unica soluzione potrebbe essere un taxi: trattiamo per una corsa fino a Puerto La Cruz, per vedere un po’ il mare e perchè da lì vogliamo puntare sulla Grand Sabana. Sembrerebbe un salasso, maritirando al bancomat scopriamo che il cambio effettuato dal circuito banacario venezuelano è a 60 (e non a 12, ossia quanto era stato quello applicato all’ aeroporto).. respiriamo e cominciamo ad entrare in mood vacanza.
Puerto la Cruz è una città abbastanza grande, ma decisamente più vivibile di Caracas. Ha una splendida passeggiata sul mare, lungo Playa Paseo, e vari locali in cui sorseggiare un frullato o un cocktail. Emerge con  chiarezza lo stridore di uno Stato ideato e  costruito per pochi e per le vacanze di pochi, in cui oligarchia e capitale hanno costruito, tra gli anni ’60 e gli anni ‘90 hotel, alberghi e modellato una vita notturna in funzione ed a piacimento di una cerchia ristretta di persone.
Poi è arrivato Chavez. Con importanti politiche sociali, con fondamentali piani di “crescita complessiva”, ma anche con una fortissima conflittualità sociale – probabilmente frutto naturale e necessario di decenni di squilibri e di ingiustizie. Molte di quelle attività da “varietà televisivo” hanno chiuso, altre si sono rimodellate, altre ancora, con accordi con il nuovo corso, sono rimaste in piedi.
Ma il chavismo, la sua forza, la capacità di aggregazione, di motivare, di dare una “lettura sociale ed un progetto per il pueblo venezuelano” era troppo legato e sagomato sul suo leader. Il chavismo era Chavez. E dal 2013, anno della sua morte, il PSUV ed il Paese sono in crisi. Dai muri, dalle case, dalle scritte il richiamo al socialismo democratico, alla partecipazione popolare, hanno il viso, le frasi, le idee, quasi la voce di Chavez.
I baffi di Maduro,non hanno avuto né il carisma né la capacità di “creare unitarietà” , del leader, e questo si ascolta dalle persone, dai mugugni e dai silenzi dei baristi e dei taxisti. Nonostante i molti manifesti, scritte e striscioni inneggianti a Maduro, questi non è nel cuore delle persone. Anzi, più di qualcuno con cui abbiamo potuto parlare, ed in particolare ricordo un ristoratore, lo accusa di essere troppo tenero ed eccessivamente legato ai “vecchi poteri economici pre Chavez”
Puerto la Cruz, con qualche albergo e locali notturni chiusi, con un’economia e politiche sociali abbastanza frenate dalla mancanza di impulso del chavismo, rappresenta abbastanza bene un Paese che si è fermato a metà del guado, quasi abbia terminato le forze durante la traversata. L’opera di trasformazione e di applicazione del socialismo democratico ha perduto la sua inerzia.
Il Venezuela è anche tanto, tantissimo baseball. Il vero sport nazionale, ed uno dei pochi sport che non riesce proprio ad appassionarmi. Anche il calcio tira abbastanza, ma mai come il baseball, la squadra di Puerto La Cruz è “Caribes de Anzoátegui” – Anzonategui è anche il nome della provincia in cui si trova la città.
Da Puerto la Cruz si può prendere il boat per arrivare a la Isla Margarita, uno dei luoghi a maggiore presenza di Italiana e molto dedita al turismo. Ce ne teniamo lontani.
Nei nostri giri di studio e di piacere scopriamo che le moltissime attività commerciali presenti in Avenida 5 di Luglio, sono in prevalenza di originari arabi – in particolare libanesi, giunti in particolare dopo il 1982. Ed è qui che conosciamo Felix, omaccione simpatico che ci propone di cambiare 1 euro a 90 Bolivar, dopo un po’ di scetticismo decidiamo di seguirlo ed accettare: non c’è fregatura. Il nostro amico Felix entra con i nostri 200 euro nella casa del cambio (dove possono cambiare solo venezuelani) e ci riempie di Bolivar: la vacanza può continuare e diviene molto più light.
Andiamo di corsa a prenotare il bus che ci porterà attraverso la Grand Sabana fino a Ciudad Bolivar, e soprattutto ci concediamo una gran cena, un po’ meno attenti al portafogli.
Ho ragionato molto su questo sistema e questa “quasi legalità” del cambio in nero, e l’unica spiegazione è che sia così immaginato per rendere costosi i prodotti di esportazione (leggasi petrolio), ma allo stesso tempo il cambio “informale” molto molto basso del bolivar , permette e favorisce i turisti e quindi i consumi. Potrebbe essere un’ipotesi.. L’unica certezza è che se vi dirigete in Venezuela portatevi tanti contanti e cambiate, con le giuste accortezze, e prendendo le adeguate precauzioni, on the road.

mercoledì 21 settembre 2016

Sudafrica, con sosta in Arabia Saudita.

Il Sud Africa nella mia testa è  un’eco di nomi, di suoni, di immagini. Sulla carta geografica è la punta estrema del continente e Città del Capo è una di quelle città che esercitava su di me una strana attrazione, anche prima di averla visitata. Così come Rio, Istanbul o San Francisco, di cui, poi, mi sono perdutamente invaghito.
Il Sud Africa è anche natura, ed i suoi innumerevoli Parchi Nazionali sono una meta imperdibile; così come imperdibili sono le spiagge bagnate dagli oceani.
Insomma il “Paese arcobaleno” offre davvero tanto, ma le distanze sono parecchie ed è, indubbiamente, necessaria una buona organizzazione. Nulla di trascendente, ma è importante studiacchiare e capire il territorio, soprattutto se ci si muove con un budget limitato.
Intanto il biglietto aereo…  La Saudi Arabian fa dei prezzi davvero competitivi con partenza da Milano ed arrivo a Johannesburg; l’unica incognita è la lunghezza dello scalo (obbligatorio) a Jeddah, seconda città dell’Arabia Saudita, dopo Rihad, e, soprattutto, crocevia per i milioni d pellegrini che vanno nella vicinissima La Mecca. Insomma trovare un posto dove stazionare nell’aeroporto (in grandissimo ampliamento, ma per ora è un unico enorme spazio in cui si alternano flotte di credenti provenienti da tutto il mondo che molto spesso viaggiano in gruppi enormi)non è comodissimo. E se dovete stazionare  12 ore l’unico duty free (ed anche unico shop) non vi aiuta a passare il tempo; ma basta un buon libro (io avevo per le mani Conversazioni nella Catedral  di Vargas Llosa – wow -) ed un mazzo di carte, e il tutto diventa molto meno pesante. E guardare varie persone  di differenti continenti, ammirare il variegato e complesso rapporto con la fede, studiare le modalità di “relazione”, mi ha aiutato ancor di più a sorridere (ed un po’ ad incazzarmi)  pensando alla faciloneria con cui alcune testate e alcuni imbrattacarte (non meritano l’appello di giornalisti) targettano in un moloch indefinito l’Islam. Varietà, pluralità, differenza, come sempre, come tutto nel mondo. Ma per capire le differenze bisognerebbe conoscere, e questa  è un’altra storia.
Arriviamo a Johannesburg, dove ci aspettano per consegnarci l’auto affittata, una tranquillissima Hyundai i10. Consiglio questo sito per prenotare, sono stati puntuali ed onesti www.xtremecarrental.co.za. Quando stavo organizzando il viaggio temevo che dovessi affittare necessariamente un  4×4 (ed ovviamente la cosa avrebbe creato non pochi “problemi”) ma approfondendo ho visto che era sufficiente una vettura piccola, e per gli spostamenti off-road ci saremmo organizzati di volta in volta con “mezzi terzi”.
Serve la patente internazionale e, soprattutto, si guida a destra. E’ luglio ma fa parecchio freddo, siamo nell’emisfero australe e Joburg  (diminutivo riconosciuto, utilizzato ed apprezzato) si trova a 1680 m su un altopiano.

Ci immettiamo nel traffico sudafricano, che alle 2 di pomeriggio è abbastanza sostenuto. Prima di riuscire ad immetterci sulla N1, che porta verso sud ed è l’arteria principale del Paese , impieghiamo un po’ di tempo attraversando l’hinterland. Agglomerati di case ad un piano, persone sul ciglio della strada, ci supera un camion che porta oltre 15 persone nel carro; alcuni bambini, sorridono di felicità. Emerge con chiarezza  una povertà evidente che fa da stridente contrappeso ai macchinoni che erano all’aeroporto e alle pubblicità sui cartelloni vicino al Tambo Airport. Il prologo dice con chiarezza e durezza  che sarà un viaggio caratterizzato dai forti contrasti, tra persone che fanno decine di chilometri ogni giorno a piedi e chi viaggia  con autovetture extra-lusso. Era il Paese dell’apartheid, resta un Paese dai forti squilibri.

lunedì 19 settembre 2016

Travelp: connetti territori dal mondo, conosci e condividi

Un territorio non può essere solo un insieme di dati statistici o un analisi oggettiva che
emerge da libri o da dossier, come d'altronde un progetto non può essere solo mettere insieme, rimodulare e allineare  dati, numeri cifre e percentuali.
Un territorio è storia, un territorio è cultura, è arte, sono volti e voci che lo animano, un territorio è un insieme di storie da raccontare.
Un progetto è un insieme di idee di desideri di passione di letture di punti di vista ; un territorio non può essere imparziale, un territorio è un insieme di parzialità, un territorio nasce dall'unione delle complessità, come un progetto nasce dalla possibilità di unione di punti di vista,desideri,voglie e azioni.
Per questo la Cooperativa Elp ha deciso di dotarsi di un ulteriore strumento, uno strumento per narrare, per raccontare e per raccontarsi; oltre il sito, in cui diamo informazioni e spunti di lettura del territorio, attraverso le attività maggiormente istituzionale o attraverso gli iter procedurali, abbiamo  deciso di dar vita ad un contenitore di racconti e storie; attraverso quattro chiavi di lettura: enogastronomia,sport, cultura ma sopratutto attraverso immagini, frasi e disegni dei territori stessi.
Attraverso queste chiavi di lettura abbiamo deciso di connettere storie dal mondo, connettere territori dal mondo, dando la possibilità di condividere storie, esperienze, volti, immagini, così da costruire una comunità che racconta e narra ciò che vede e ciò che potrebbe essere.
Uno spazio in cui narrare condividere e sognare.
Questa agorà virtuale vivrà attraverso immagini e articoli postati sulle quattro tematiche, in più cercheremo anche di raccontare tragitti, percorsi di dare trade-union attraverso i viaggi reali o virtuali; una storia di sequela, di appuntamenti su determinati percorsi e aree tematiche.
Daremo anche consigli su particolare prodotti da degustare, su ricette, su posti dove poter spostarsi a mangiare o a bere prodotti tipici, sia nel Lazio, sia in in Italia, sia nel Mondo.
Ovviamente il nostro punto di vista è una parzialità, una delle parzialità che compone questo puzzle, la cosa importante e che tutti i  nostri amici, i nostri collaboratori, coloro che ci hanno attraversato o con cui potremmo aprire progetti e sinergie in futuro, animino e condividano con il loro contributo questo spazio di connessione di territori dal mondo.
Travelp: connetti territori dal mondo, conosci e condividi

Lo stretto del lupo di Oliver Truc

 
L’estremo nord scandinavo. La lapponia norvegese. Laddove Norvegia, Svezia e Finlandia si incontrano con confini artificiali e distanze infinite. Terra di bellezze disarmanti. Ove d’estate il sole non tramonta mai. Strade che come tratti di matita solcano panni verdi. Cascatelle e torrenti nati dallo sciogliere dei ghiacci fanno da cornice, e luoghi ove camminare estasiati.
Verso ovest l’oceano, e sulle coste norvegesi alcuni insediamenti e villaggi. O città laddove la principale fonte di ricchezza non è più la pesca, ma il petrolio ed il gas.
Hammerfest, è in questa città, la più settentrionale del mondo, che è ambientato il bel noir di Oliver Truc, intitolato lo “Stretto del Lupo”, edito da Marsilio nella collana farfalle. Questo libro dell’autore francese, collaboratore di Le Monde Diplomatique, è il secondo che ha come protagonista l’ispettore della polizia delle renne Klemet Nango, e la sua collega Nina Nansen.
Ottimo racconto in cui lo stridente contrasto tra cultura lappone e modus agendi “norvegese euro-atlantico” si palesa attraverso una difficile coesistenza tra l’allevamento non stanziale di renne e gli interessi legati al mondo dell’estrazione di idrocarburi.
Pagine intense mediante cui siamo trasportati in questi territori carichi di leggende e rituali, in cui i personaggi sono espressioni di culture, punti di vista e prospettive articolate e differenti, in una approfondita narrazione delle peculiarità e dei caratteri del “grande nord”, degli interessi e dei rischi che caratterizzano questo area.
Un libro che ha come fille rouge un tema tremendamente attuale: la difficile convivenza tra sviluppo e sostenibilità, tra salvaguardia di culture, biodiversità e paesaggi ed innovazione.
Una storia da leggere e posti da scoprire